In Sicilia, in tutti i traghetti che collegano Messina e Villa San Giovanni, saranno vietati tutti i souvenir legati alla mafia. Il motivo? Queste sono oggetti che ledono l’immagine dell’isola. A deciderlo Alessandro Aricò, assessore regionale alle Infrastrutture e alla mobilità, che ha specificato che il provvedimento – però – non può essere esteso a tutti i negozi della Sicilia. A confermarlo anche una verifica effettuata dal dipartimento delle Attività produttive, all’interno dell’assessorato guidato da Edy Tamajo.
“Non posso che essere d’accordo, riguardo alla iniziativa del collega di giunta, Alessandro Aricò. Questi gadget riportano immagini e scritte che risultano lesive della dignità dei siciliani onesti e laboriosi. Non si può accettare l’idea di rappresentare in questo modo una parodia grottesca e di basso profilo, per attrarre i turisti, consegnando loro un’immagine fortemente negativa della nostra Isola, che allude palesemente alla violenza e alla mafiosità. Dopo stragi, vittime ed impegno, per isolare la cultura mafiosa è triste constatare che la stessa e i suoi simboli possano diventare protagonisti, sia pure ironicamente, dei vari souvenir che si offrono ai turisti”, ha dichiarato Tamajo.
Alcune dichiarazioni sulla disposizione
L’appello di Tamajo, che non può intervenire sul mercato privato, è chiaro: “Evitare di vendere una tipologia di prodotti che oltre a essere lesiva per l’immagine siciliana, è irrispettosa e mortifica la Sicilia intera. È un gesto importante: affermando la totale estraneità a qualunque versione dell’apologia del fenomeno mafioso e offrendo della Sicilia la giusta immagine”.

Questi souvenir che richiamano alla memoria la malavita siciliana, d’altronde, sono molto noti. Tra t-shirt con il padrino, statuette e calamite, è stata poi la denuncia del cantante Mario Incudine – che si è accorto di questi stessi oggetti su un traghetto della Caronte&Tourist – a muovere la disposizione. “Seppure la tratta dello Stretto non è svolta nell’ambito di un contratto con la Regione siciliana, siamo comunque intervenuti immediatamente presso Caronte&Tourist per chiederne la rimozione. Ringraziamo i vertici della società per aver agito con altrettanta tempestività presso i terzi che hanno in affitto gli shop sulle loro navi”, ha dichiarato successivamente Aricò attraverso una nota. Questa posizione, tuttavia, sarà seguita anche dal governo Schifani, “includendo nei nuovi contratti che seguiranno alla procedura negoziata per l’affidamento dei servizi di collegamento con le isole siciliane, un comma con cui si vieta la vendita a bordo delle navi di qualsivoglia oggetto che possa mortificare il riscatto della Sicilia rispetto a stereotipi che fanno ormai parte del suo passato e che i siciliani fortemente rigettano”.
Cos’è il ‘mafia sounding’
Uscendo dalla Sicilia, però, il tema si allarga ad altri settori merceologici, prendendo il nome di “mafia sounding”. Su questo è intervenuta, nel tempo, anche la Coldiretti, che ha ‘applaudito’ alla recente decisione della Regione “che ha vietato la vendita di souvenir con immagini riferite alla mafia sul traghetto Sicilia-Calabria”. Negli anni l’associazione, infatti, ha catalogato una serie di prodotti e di nomi legati a quello che è chiamato il ‘mafia marketing’. “In Bulgaria si beve il caffè Mafiozzo, gli snack Chilli Mafia, invece, si possono comprare in Gran Bretagna, mentre in Germania si trovano le spezie Palermo Mafia shooting, a Bruxelles c’è la salsa SauceMaffia per condire le patatine e la SauceMaffioso, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa Wicked Cosa Nostra. In terra tedesca si beve anche il Fernet Mafiosi, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta Stop! Ma c’è anche il vino Syrah Il Padrino prodotto nella Santa Maria Valley California da Paul Late. Su internet è poi possibile acquistare il libro di ricette The mafia cookbook o comprare caramelle sul portale www.candymafia.com”, ha dichiarato la Coldiretti.
Per l’associazione, però, oltre al danno d’immagine, “si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani solo nell’agroalimentare ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, e che costa all’Italia trecentomila posti di lavoro”. A questa, seguiranno altre azioni in Italia e in Sicilia? Non ci resta che attendere e vedere. Queste organizzazioni criminali sono molto attive nel nostro Paese, ed è dunque necessario combatterla dal basso per eliminarla.